lunedì 18 maggio 2009

Social Networks - Funzioni

Tutto quello che pensavate di sapere e che non vi hanno detto


Facebook o la comunità delle comunità


Volendo ci metti pure la faccia. Ancora e sempre volendo ti affidi a vaghi pensieri, al sano e corroborante “cazzeggio”.  Però, però, Facebook non è solo l’ennesimo enigma da formulare, sotto i colpi della più trita contingenza: sopraffina piattaforma della socialità, oppure, portentoso gadget per impenitenti “fancazzisti.”

L’avvertenza è d’obbligo: astenersi da facili mitizzazioni e da altrettanto futili demonizzazioni. L’idea di Facebook, infatti, non è nuovissima. E la faccia sveglia del fondatore e ideatore Mark Zuckerberg che spunta da un classico open space, quasi lo sta a testimoniare. Il libro delle facce, tradizione dei college americani, rappresenta l’ennesima incarnazione, più ludica che sistemica, più scanzonata che strutturata, di una certa idea di comunità. Anzi, per Mark Zuckerberg è “una comunità di comunità”. Una famiglia visiva, un territorio di amicizie e “affinità elettive” che pare sfuggire a etichette e tipologie.

E che non sia la solita chincaglieria giovanilistica lo dimostrano le recenti memorie visivamente narrate da arzille “volpi argentate” ai nipotini, grazie al cielo, non tutti “emo” e liquefatti.

Non è facile entrare in una narrazione, nemmeno uscirci, tuttavia, unsocial network disdice e, forse, rimanda al mittente le geremiadi sulla freddezza dei rapporti sociali e sulla difficoltà immane di mantenerli.

Una faccenda pre-politica, esistenziale, tremendamente plasmabile dalla pop-politycs, cioè dalla volontà di comunicare in una nuova agorà a “tutto campo” e 360 gradi. Quel che Obama ha capito, fatto e continua a fare, rendendo antichità pura le liturgie consolidate dei raduni, convegni, adunanze della vecchia e incanutita politica.  La densità di esponenti politici connessa ad una diversa scansione del messaggio politico, come comprese il campione di nuoto serbo Milorad Cavic, indossando una tshirt con la scritta “Kosovo è Serbia”, animando un dibattito sulle sorti reali dello scenario balcanico.

Facebook rappresenta un esempio efficace di pandemia culturale, nel senso di un’apertura di possibili modellistiche sociali e comunicazionali, per certi versi, eccentrica e molteplice. Nell’impermanenza delle società de-strutturate, sotto forma di una piattaforma, utilitaristicamente concepita per contattare vecchi compagni di classe, ex commilitoni, primi e grandi amori, indimenticati, indimenticabili,  in breve tempo,  Facebook diventa l’antitesi del politeismo liquido di una società panottica, dedita alla sorveglianza dei dati e degli spostamenti, camuffandola nel termine aleatorio della sicurezza.

Il social network che supera la vulgata del concetto, assai caro alla declinazione imperial-spinoziana della moltitudine, introdotta nel 2004,  in merito al dibattito sulla globalizzazione,  da Tony Negri quale generico ed aleatorio sommerso antropologico e sociale. In favore di cerchie socialmente sensibili che, mediante,  una prassi aristotelica mettono in forma il loro essere e stare intermedio,  capace e dinamico fuori e dentro la rete.

Mai come ora, la frase “non perdiamoci di vista”, pare demodé. 

http://www.ffwebmagazine.it/ffw/page.asp?ImgPath=immagini/Foto/Facce.jpg&Cat=1&Art=577&StrMotore=social%20network&TitoloBlocco=Risultato%20della%20Ricerca&page=1

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